Il Natale non è un periodo dell’anno, il Natale è uno stato d’animo.
Quando la persona che vedevo riflessa sullo specchio aveva meno rughe, molti capelli in più e quella luce negli occhi che sa di gioventù il Natale aveva un sapore magico.
C’era l’ansiosa attesa della decorazione dell’albero di Natale. L’odore forte degli aghi di pino, la scatola con le decorazioni impolverata per gli undici mesi d’attesa passati in un ripiano del ripostiglio. La consueta scena degli addobbi luccicanti indossati come improbabili sciarpe da due fratelli felici di rincorrersi tra le poltrone di velluto marrone. Le tapparelle chiuse affinché in quel buio nero, intenso un click dell’interruttore avrebbe fatto risaltare le tante luci intente ad eseguire una danza di colori che scaldava i cuori.
Un Natale che sapeva di Presepe, di Vinavil sulle dita per le casette appena costruite. Un Natale che odorava di muschio appena raccolto, di carta di giornale usata per improbabili montagne sormontate da fiumi di stagnola.
Un Natale dai risvegli frenetici. Ancora accaldati dal tepore di spessi piumoni, due fratelli che si lanciavamo in una corsa a piedi scalzi sul marmo freddo dalla stanzetta fino all’albero di Natale per scoprire che, come d’incanto, un nuovo regalo era “misteriosamente” comparso. Doni da tastare con cura, da scuotere per scoprirne il contenuto, da accatastare con gli altri perchè più regali c’erano e più bello sarebbe stato scartarli.
Un Natale di affetti ormai lontani. Del nonno che ti si avvicinava con discrezione e stringeva la sua mano alla tua. In quel contatto percepivi la presenza di un dono. Guardavi bene e trovavi in mano cinquemila lire. Alzavi lo sguardo e vedevi i suoi occhi mesti e sentivi la solita frase: <>. Quanto vorrei risentirla adesso. Quanto mi sento in colpa per aver dato importanza al valore economico del dono e non ad un abbraccio che avrei voluto dare e che ora posso solo recriminare di non aver dato.
Un Natale che sapeva di famiglia. Una grande e bella famiglia. La voglia di rivedersi, di stare insieme, di raccontarsi le solite storie. Nonni, zii, cugini… Che tavolate infinite, che caos… che splendido caos. Poi l’immancabile cibo. Chiudo gli occhi e sento gli stessi sapori di quarant’anni fa… La tavola imbandita e le mani impertinenti di noi cugini intenti a rubare qualcosa da mangiare, troppo impazienti nell’attesa dell’arrivo di qualche parente ritardatario. Cibo, tanto cibo, troppo cibo che ci avrebbe accompagnato anche nelle tavole dei giorni seguenti…
Ieri era il la Festa dell’Immacolata. Abbiamo fatto l’albero. È di plastica e i finti aghi cascano per terra, ma non odorano di Natale. Ho indossato qualche decorazione luccicante come un’improbabile sciarpa per far ridere i miei figli (in fondo credo di non essere mai cresciuto realmente…), ma mi mancano le corse tra i divani di velluto marrone con mio fratello.
Le tapparelle le ho abbassate. Il buio pesto è sempre lo stesso e anche la danza delle lucine sull’albero sembra assomigliare a quella di tanti anni fa. Ma manca qualcosa… Le seguo alternarsi, divertite, ma non provo nulla…
Mi guardo allo specchio. Guardo il Marco che ho davanti.
Manca la pelle liscia, mancano i capelli e manca quella luce negli occhi che sa di gioventù…
Il Natale non è un periodo dell’anno, il Natale è uno stato d’animo…
Cosa ne pensi?