Sembra passato un secolo ma ho ancora nitido il sapore di quell’estate.
Le fatiche universitarie erano ormai passate. Mesi sui libri ad imparare concetti che forse avremmo dimenticato il giorno successivo all’esame.
Stress a non finire.
Adesso sarebbe arrivato il meritato riposo.
Io e Martin, giovani di belle speranze, ci apprestavamo a vivere un’estate intensa. Voglia di divertirsi tanta, quattrini pochi… Come sempre accade quando tra “il dire ed il fare” c’è di mezzo il denaro, la scelta su dove trascorrere le vacanze fu quasi obbligata: campeggio. Destinazione Lipari, Isole Eolie.
Quasi due ore di traghetto per giungere alla desiderata meta e già il bianco cominciava a manifestarsi ai miei occhi. Le piccole tipiche case eoliane sparse sulle isole come un gregge di pecore. Case difficilmente raggiungibili se non dopo aver percorso irti sentieri. Era uno spettacolo ammirarle; vederle lì, come in un presepe estivo riflettere il loro candore alla luce del sole d’agosto, in netto contrasto con l’azzurro terso del cielo.
I primi due giorni di campeggio furono noiosi, e rimpiangemmo l’idea di trovarci li… Ma non avevamo molte alternative, in fondo… Avremmo passato altri quattro giorni sull’isola. Avremmo ricaricato le batterie e saremmo tornati alla vita di sempre.
La vacanza, però, stava per cambiare…
Facemmo amicizia con Erika (con la “k” come sottolineava lei), la ragazza che gestiva il chiosco delle bibite. Carattere solare, bell’aspetto ed una simpatia contagiosa. Gestiva l’attività estiva con sua cugina Teresa.
Lei cambiò la mia estate!
Teresa era taciturna come tutti gli isolani. Pensierosa e diffidente. Quando ti guardava ti metteva in soggezione perchè il suo osservarti non era solo un semplice gesto, ma un’analisi accurata della tua persona. Era bella. Capelli castani leggermente mossi, carnagione scura, seni piccoli e gambe affusolate.
Legammo subito.
Passammo tanti momenti insieme e imparai a conoscerla meglio. Mi parlava sempre della sua amata isola e di quanto fosse difficile e contamporaneamente bello poterci vivere tutto l’anno.
La sera prima della partenza mi chiese di andare con lei. Salimmo su una Vespa (o quel che ne restava, tanto era malandata…) e non volli nemmeno chiedere dove mi stesse portando. Aveva un vestito a fiori che metteva ancora più in risalto le sue gambe. Io, seduto dietro di lei, mi persi nel profumo dei suoi capelli.
Dopo dieci minuti di stada, arrivamo in un posto fantastico: la cava di pomice di Acquacalda una località a pochi chilometri da Lipari.
La luna illuminava la bianca spiaggia e rendeva il tutto irreale.
Lei era ancora più bella.
Baciai le sue labbra al sapore di sale.
Il giorno successivo, quello della nostra partenza, andammo nuovamente lì. Capii perchè quel luogo era così magico… La cava era abbandonata ma tutt’intorno era pieno di bianca pomice. Piccole, rotonde pietruzze dalla consistenza leggera che riempivano la spiaggia fino ad arrivare al mare. Teresa, vedendo il mio stupore nell’ammirare quelle piccole pietre riportate a riva dalle onde mi disse:
Vedi, la pomice è come noi isolani. Vorremmo andare via da questa isola, ma il mare ci riporta qui…
Ci salutammo e io tornai a casa.
E’ inutile dire che il suo ricordo lo conservai a lungo.
Anni dopo tornai a Lipari. Samuele Bersani cantava:
i suoi capelli neri a punta d’inchiostro…
ed io pensavo a lei.
Rividi Erika e fui felice. Chiesi di Teresa e lei mi disse che era partita. Aveva trovato il coraggio di lasciare la sua terra! Rimasi deluso. Avrei voluto abbracciarla ancora una volta, avrei voluto baciarla…
Feci il bagno e fu come abbracciarla. Fu come baciare le sue labbra.
Le sue labbra al sapore di sale.
Cosa ne pensi?