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La latteria di nonno Nino

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Qualche giorno fa, sono passato davanti ad un negozio di videogiochi.
Ero al volante, il semaforo era rosso e non riuscii a distogliere lo sguardo alla mia sinistra: le vetrine illuminate, le sagome di cartone dei personaggi del momento, tanti ragazzini con gli smartphone a scherzare e divertirsi.

Guardai con attenzione e malinconia.
A metà degli anni ottanta, quel posto, ospitava la latteria di mio nonno Nino.
Nitidi ritornarono nella mia mente i ricordi della mia infanzia…

Il sabato mattina io (allora avevo circa 8 anni), mio fratello (6 anni) ed i miei genitori, andavamo a trovare i nonni per passare da loro il fine settimana.
La nonna ci accoglieva con il consueto grembiule da cucina con un forte abbraccio che sapeva di soffritto di cipolla e tanto amore.
Io e mio fratello esploravamo, come sempre, la casa: mobili antichi tenuti in ordine, calde poltrone di velluto verde, la carta da parati a righe in rilievo che faceva da sfondo ad ingiallite foto.

<<Dov’è il nonno?>> domandavamo impazienti alla nonna. La risposta era sempre la stessa: <<alla latteria!>>.
Lo sguardo di bambini rivolto ai nostri genitori era una chiara esortazione ad andarlo a trovare; richiesta che non poteva restare inascoltata.
Percorrevamo le poche centinaia di metri che ci separavano dal negozio di nostro nonno, mano nella mano a papà e mamma. Le strade non ancora invase da Suv e scooter disegnavano una bella cartolina di una frizzante Catania.

Arrivati a destinazione trovavamo nostro nonno sull’uscio della bottega. Stava seduto sulla vecchia sedia di legno e corda. Con l’aiuto dell’immancabile bastone si alzava lentamente, mentre sotto la sua “coppola” il suo viso severo lasciava trasparire, sotto ad accennati baffetti,  un velato sorriso.
Dopo i calorosi saluti, ci invitava ad entrare.

La sua bottega del latte era tutto il contrario di quello che potrebbe essere oggi un moderno supermarket.
Una “ordinata-confusione” di generi alimentari sparsi senza un nesso logico in ogni angolo del locale. Cibo, detersivi, scope, latte… Oggetti posizionati uno accanto all’altro, senza distinzione, senza gli accecanti colori delle confezioni attuali.
Al centro un raccoglitore girevole pieno di merendine sfuse. Mio nonno ne prendeva due e ce le offriva.

Ogni tanto entrava un’anziana donna a comprare qualcosa. Mio nonno si districava agevolmente in quella “ordinata-confusione” e prendeva, a colpo sicuro, quanto la vecchia signora aveva richiesto. Poi, armeggiando con la matita su un foglio di giornale faceva qualche calcolo e lo comunicava alla cliente che pagava e si congedava con un “s’abbinidica” (ovvero “Che Dio ti benedica” un saluto di solito rivolto a persone anziane o aventi una certa autorità).

Ormai era quasi ora di pranzo. Ci congedavamo da lui (che presto ci avrebbe raggiunti) e facevamo ritorno a casa dalla nonna, alla pasta col sugo con il soffritto di cipolla, alle immancabili polpette ed al calore della famiglia.

Il semaforo verde è scattato presto, troppo presto.
Il tizio con il Suv dietro di me, giustamente, suona insistente, mentre orde di scooter mi sorpassano.
Non c’è tempo per i ricordi. E’ tempo di tornare alla realtà. E poi, il ricordo di quel soffritto mi ha fatto venire una gran fame!

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